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Per i giudici di Salerno l’imputato è deceduto, ma lui è vivo Cronaca 

Per i giudici di Salerno l’imputato è deceduto, ma lui è vivo

L’imputato è deceduto, anzi no è vivo. Pasticcio nella stesura delle motivazioni di una sentenza della Corte d’Appello. C’è un mero refuso sul quale si aggrappa il difensore di S.O., 49 anni, originario di Torre del Greco, in provincia di Napoli, domiciliato nella provincia di Salerno. L’uomo è stato condannato un anno fa, a metà settembre, per truffa aggravata e falso. Nella sentenza compare un errore che poteva essere risolto con una rettifica. Invece è finito davanti alla Corte di Cassazione. I giudici del “palazzaccio” hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso che si fondava su quell’unico motivo che appare piuttosto una forzatura.

Il refuso incriminato. Nasce tutto da quel passaggio nella sentenza, trascritto per sbaglio, dove si fa riferimento al decesso dell’imputato. In tal caso si sarebbe dovuto emettere sentenza di non dover procedere per estinzione del reato, come conseguenza della morte del reo. Se il 49enne di origini Napoletane fosse davvero morto. Una condizione d’obbligo per questa ipotesi di procedura penale. Al contrario l’uomo è vivente e ne aveva contezza, all’epoca dei fatti, la stessa difesa. La Corte non ha acquisito mai il certificato di morte da allegare al verbale d’udienza perché di tale procedura non c’è stata necessità. L’imputato non è mai passato a miglior vita, come risulta dalla certificazione anagrafica. Tutti (in)consapevoli. Che non ci fosse statonessun trapasso, lo davano per acclarato anche le parti all’udienza del processo di appello del 12 settembre dello scorso anno. Accusa e difesa giunsero alle loro conclusioni come se nulla fosse accaduto. D’altronde così era. Nessun lutto si era verificato. Il procuratore generale chiese la conferma della sentenza di primo grado mentre il difensore insistette in appello. Chiuso il verbale, si passò alla stesura della sentenza. E fu allora che si verificò quell’involontario errore di battitura che ha dato l’assist alla difesa per un ricorso inammissibile, come sancito dalla Cassazione, che ha solo contribuito a congestionare il ruolo delle udienze.

La multa. L’uscita infelice del mancato truffatore avrà comunque una conseguenza. L’uomo è un lavoratore edile che spesso è finito nelle maglie della giustizia. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso – scrive la Cassazione – consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. I giudici hanno sancito un’ammenda di duemila euro, commisurata al grado di colpa del ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Quello che appare piuttosto come un appello tentato, gli si è ritorto contro con la sanzione amministrativa. Resta l’aspetto di un ricorso fondato su un mero errore materiale. Fonte: La Città di Salerno

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